Il primo metodo per ricaricare un veicolo elettrico, che sia un monopattino, una bici, uno scooter, una macchina è la presa di casa.
Chi non ha mai ricaricato un veicolo elettrico, fossero anche solo le batterie della macchinina telecomandata? Il concetto è lo stesso, ricaricare delle batterie, solo in una scala diversa. Utilizzando una presa Schuko, che riesce ad erogare fino 16 A di corrente, si potrebbe arrivare a ricaricare l’auto con una potenza fino a 3,3 kW (potenza disponibile al netto del fattore di potenza).
Tuttavia, non è consigliabile utilizzare la semplice presa Schuko (e a mio avviso neanche il cosiddetto “mobile charger”). Il motivo è semplice: pur essendo stati realizzati, a suo tempo, a regola d’arte, gli impianti elettrici residenziali non sono pensati per carichi elevati e duraturi nel tempo. Sorvoliamo sui calcoli elettrici relativi a sezione e corrente e passiamo direttamente al problema che potrebbe causare la ricarica dell’auto utilizzando la presa di casa. Nel migliore dei casi non succederà mai nulla, ma i danni dovuti al sovraccarico dell’impianto elettrico possono essere:
- surriscaldamento con relativa fusione del cavo e quindi danneggiamento del circuito;
- surriscaldamento con relativo incendio nascosto nel muro che può diventare molto pericoloso.
La cosa migliore da fare, nel caso si voglia utilizzare la presa di casa per ricaricare l’auto è quella di creare una nuova linea elettrica che stacca direttamente dal contatore di rete e alimenta la singola presa. In questo modo si riducono i rischi di sovraccarico dell’impianto.
Il secondo metodo è praticamente identico al primo, solo che a differenza di questo, utilizzando un mobile charger (regolatore di carica portatile) è possibile selezionare la corrente erogata e quindi la potenza. Prima di tutto perché, sembra banale, ma se da contratto di fornitura ho a disposizione 3 kW (che in realtà sono 3,3 kW) e ricarico un veicolo a 3,3 kW mi basta accendere una lampadina per far “saltare il contatore” ossia per superare la potenza massima contrattualizzata. Utilizzando un regolatore di carica possiamo andare a limitare l’assorbimento di energia limitando la corrente in uscita andando a limitare il problema dell’assorbimento.
Per il resto è uguale al modo 1, solo che potendo arrivare a 32 A di corrente, si riesce ad arrivare anche a 22 kW di potenza di ricarica. Ovviamente raggiungere tali potenze in casa senza un impianto elettrico progettato e realizzato adeguatamente non è solo impossibile ma provarci potrebbe essere pure molto rischioso.
Il terzo metodo è quello di cui si è sentito parlare di più in questi ultimi anni grazie al superbonus. Sono le Wallbox (se attaccate a muro) o colonnine di ricarica (se installate su di un piedistallo).
Possono sembrare diverse da quanto già visto, in realtà banalizzando è un regolatore di carica fisso collegato ad un circuito elettrico dedicato. Facciamo l’esempio di una Wallbox di casa che è più immediato. Per installarla, bisogna creare una linea elettrica dedicata che parte o subito sotto l’interruttore generale o direttamente dal contatore di rete. A questo punto il gioco è fatto. Tirando una linea dedicata, correttamente dimensionata, possiamo arrivare tranquillamente a potenze di 7 kW senza rischiare di bruciare casa, salvo fornitura del distributore o, ancora meglio, possiamo chiedere un contatore dedicato alla Wallbox, potendo raggiungere potenze ancora superiori (e costi superiori perché la tariffa del nuovo contatore non è la stessa di quella di casa, ma più cara).
All’interno le Wallbox possono essere dotate di svariati sistemi:
- dal controllo della potenza assorbita (tramite un meter installato a valle dell’interruttore generale di casa) che limita la potenza della Wallbox al fine di non superare mai la soglia di potenza del contratto di fornitura quando ci sono gli altri elettrodomestici accesi;
- al controllo a distanza, per monitorare la carica del veicolo;
- alla possibilità di associare schede RFID, per monitorare l’utilizzo da parte di diversi utenti (ad esempio se vogliamo utilizzarla assieme al nostro vicino) e, volendo, anche far pagare all’utilizzo.
L’ultimo metodo è sicuramente quello più costoso e più complesso da realizzare. A prescindere dalla tensione e dalla corrente utilizzate per raggiungere queste potenze, bisogna prima di tutto pensare a dove poter prelevare l’energia per far funzionare la colonnina.
Già 75 kW sembrano tanti, ma pensate ad una singola colonnina da 300 kW, praticamente la potenza di un’azienda di taglia media. Quindi prima di tutto deve esserci una cabina di trasformazione adeguata nei paraggi. Poi deve essere realizzata la linea dedicata di alimentazione della colonnina, sotto il manto stradale, e quindi installata la colonnina. È quindi facile capire perché il costo della realizzazione di queste colonnine arriva anche a 100.000 €, quanta energia bisogna vendere per rientrare di un investimento del genere?
Sicuramente è difficile pensare che possa essere un investimento fine a sé stesso. Tecnicamente, all’interno di queste colonnine sono presenti dei trasformatori da corrente alternata (quella prelevata dalla rete) a corrente continua (quella da immettere nel veicolo), pertanto anche il peso è importante, arrivando a 750 kg. La ricarica avviene con una corrente continua di 250 A ad una tensione di 400 V, generando 150 kW. Le colonnine da 300 kW possono ricaricare 2 veicoli contemporaneamente.